In questa seconda parte entreremo nel mondo dei miti e delle leggende popolari legate al Taxus baccata L. districandoci tra antichi Egizi, Celti e Romani, passando per la prosa di Shakespeare e i versi di D’Annunzio fino ad arrivare alle storie della nostra terra. Storie di abruzzesi di ieri e di oggi che hanno legato al tasso una parte della loro vita quotidiana.
Procedendo in ordine cronologico, alcuni reperti archeologici risalenti alla VI dinastia egizia (2350 a.C. – 2190 a.C.) testimoniano come il legno di tasso fosse utilizzato per costruire i sarcofagi dei regnati e di alti funzionari politici e religiosi (Baumann, 1960). L’uso del legno di tasso per la costruzione di bare e sarcofagi fu comune fino alla XII dinastia (1990 a.C. – 1780 a.C.) anche se la principale testimonianza storica è una scultura lignea risalente alla XVIII dinastia (1355 a.C) raffigurante il capo della regina Tiye incoronato da piume di uccello. Attualmente la preziosa scultura in legno di tasso è conservata presso il Museo Egizio e Collezione di Papiri (Ägyptisches Museum und Papyrussammlung) del Neues Museum di Berlino.
Poiché l’areale del tasso non comprende l’Egitto è molto probabile che gli egiziani lo acquistassero dalle zone collinari e montuose del Libano e della Palestina (Baumann, 1960) e della catena dei Monti Tauri a sud della penisola anatolica (Dixon, 1974).
Gli studiosi ipotizzano che l’utilizzo di un legno esotico e di difficile reperibilità sia imputabile all’agevole lavorabilità del legno, al gradevole colore bruno rossiccio, all’alta durabilità nei confronti di agenti biotici e abiotici in grado di degradare il legno ma soprattutto al modesto ritiro delle fibre che evita l’imbarcamento. Quest’ultima caratteristiche si rivela fondamentale considerando che i sarcofagi furono costruiti mediante incastri e giunzioni, tecniche che richiedono dei legni non suscettibili a variazioni di temperatura e umidità. Sebbene gli antichi egizi conoscessero e usassero i chiodi non vi è testimonianza dell’uso degli stessi nella costruzione di sarcofagi prima della XVIII dinastia (Dixon, 1974).
Molti secoli dopo, al di là del Mediterraneo, Giulio Cesare (100 a.C. – 44 a.C.) nel De Bello Gallico (libro VI, 31) scriveva di Catuvolco re degli Eburoni che fiaccato dagli anni, incapace di combattere e riluttante alla fuga, decise di darsi la morte con il veleno di tasso maledicendo il suo pari Ambiorige. Il nome stesso del popolo gallico Eburoni significa Uomini del tasso detto in celtico ibor, da cui il gallico ivos e il francese if, lo spagnolo e il portoghese iva, l’inglese yew e il tedesco Eiben (Cattabiani, 1998).
Lo storico e filosofo greco Strabone (60 a.C. – 24 d.C) riporta nei suoi scritti l’usanza dei Galli di intingere le punte delle frecce nel succo di tasso in modo da avvelenarle (Cattabiani, 1998). Questa usanza pare fosse diffusa tra tutti i popoli in cui il tasso era naturalmente presente.
Pochi anni dopo Plinio il Vecchio (23 d.C. – 79 d.C.) componeva la sua Historia naturalis dedicando alcuni versi all’Albero della Morte. Nel libro XVI egli descrive il tasso di Spagna come il più funesto tra gli alberi e il legno del tasso di Gallia, se usato come contenitore per le bevande, in grado di avvelenare il vino. Egli racconta dell’usanza dei greci d’Arcadia di non dormire o raccogliere il cibo sotto l’ombra del tasso onde evitare la sua influenza mortifera. Con molta probabilità Plinio riprende un passo di Plutarco, il quale, nelle sue Quaestiones Conviviales (III, 1, 3) riportò che quando il tasso “si gonfia di linfa in vista della sua vicina fioritura, la sua ombra uccide le persone che vi si addormentano”. Curiosa è la credenza latina, riportata da Plinio, secondo la quale un chiodo di bronzo infitto nella pianta annullerebbe ogni effetto tossico (Manzi, 2003a).
Sempre a Roma vi era l’usanza di sacrificare alla dea degli inferi Ecate i tori neri o animali dal pelo scuro recanti al collo una ghirlanda di tasso, albero a lei consacrato (Manzi, 2003a).
Salendo ancor più a Nord oltre la Foresta Nera, le popolazioni celtiche individuavano nel tasso un albero sacro, legato alla divinità lunare e al suo perenne ciclo di morte e rinascita. Per la sua sacralità, tossicità e longevità i Druidi lo scelsero come loro bastone (Di Massimo, 2002) e come albero guardiano di templi e luoghi sacri.
Il legame tra T. baccata e rito trascende la religione tanto che le antiche popolazioni di ceppo celtico, inizialmente di fede pagana e successivamente convertitesi al cristianesimo, hanno mantenuto intatto il loro rapporto con il tasso pur cambiando fede. I templi pagani divennero in chiese, i boschi sacri lasciarono spazio e sagrati e cimiteri ma il tasso rimase imperituro custode del luogo sacro. In Inghilterra infatti è ancora possibile trovare annosi esemplari di tasso crescere lentamente nei sagrati delle chiese tanto che è comune appellare questa specie come “churchyard tree” oppure “graveyard tree”. Oltre che in Inghilterra, in molte altre regioni del Nord Europa il tasso sostituisce, anche per ragioni ecologiche, il cipresso nei cimiteri (Stuart, 2009).
Tuttavia il pieno compimento del binomio anglosassoni – tasso si realizza nelle armi, nella guerra e, ancora una volta, nella morte. Le affinate tecniche di arcieria e la lunga tradizione dei maestri arcai inglesi portarono alla realizzazione del famigerato “longbow” o arco lungo intagliato a partire da una singola doga di tasso stagionato. Tra XII e XVI secolo la domanda di archi in tasso fu così alta che vennero disboscate intere foreste e gli inglesi furono costretti ad esportare questa specie fuori dai confini nazionali pur di garantirsi una produzione continua di legname.
Un interessante dibattito letterario ancora irrisolto, che contrappone scuole di pensiero opposte, associa il tasso al poeta inglese William Shakespeare (1564 – 1616) che nell’ opera teatrale Hamlet (Atto I, Scena V) utilizza un misterioso termine per indicare il veleno utilizzato da Claudio per uccidere il padre di Amleto.
“Mentr’io dormivo in giardino […] con il succo del maledetto hebenon entro una fiala, e versò ne’ padiglioni delle mie orecchie quella lebbra distillata, il cui effetto ha una tale inimicizia con il sangue dell’uomo, che trascorre le porte e i viali naturali del corpo rapido come l’argento vivo, e con sùbita energia coagula e caglia il sangue più sano e delicato, come farebbero delle gocce d’acido versate nel latte” .
Ad infittire il mistero vi è anche il fatto che il termine hebenon rientri in un raro caso linguistico chiamato hapax legomenon ossia una parola o espressione che compare una sola volta nell’ambito di un testo, di un autore o dell’intero sistema letterario di una lingua. Infatti nell’intera produzione letteraria di Shakespeare questo termine viene utilizzato solo nell’Hamlet. Le attuali traduzioni in lingua italiana e le ultime interpretazioni accettate propendono ad identificare nel termine hebenon il giusquiamo nero. Tuttavia non tutti i linguisti e i filologi hanno accettato l’univocità di questa interpretazione poiché il termine hebenon infatti potrebbe derivare da:
- henenon nome inglese con cui a quei tempi veniva denominata la pianta del giusquiamo nero (Hyoscyamus niger L.);
- ebony nome inglese dell’ebano il cui legno pregiato è ricavato da specie di Diospyrus;
- hemlock nome comune inglese per la cicuta (Conium maculatum L.); è interessante notare che nome comune del Taxus canadensis Marshall sia ground hemlock;
- un errore d’ortografia di enoron, uno dei nomi dati in quei tempi all’Atropa belladonna L. (Liberman e Lawrence, 2008).
Tra il 1880 e il 1882 lo scrittore scozzese Brinsley Nicholson propose l’identificazione di hebenon con la velenosa pianta del tasso poiché l’avvelenamento da giusquiamo non procurerebbe gli effetti descritti dal padre di Amleto. Per rafforzare la sua tesi Nicholson percorse a ritroso i tortuosi sentieri della semantica giustificandola dal punto di vista etimologico poiché i nomi nordeuropei del tasso indicavano una connessione inequivocabile: in tedesco Eiben e Todesbaum (Albero della morte), in olandese Ipen, Iben, ed Hennen, in svedese Eben, in norvegese e danese Heben. Inoltre durante l’età elisabettiana (periodo dal 1558 al 1603) il tasso era chiamato Ibenbaum e Ibenboom. La ragione per cui Shakespeare non abbia usato direttamente il nome inglese del tasso è ancora incerta ma trova giustificazione nella sede in cui andò originalmente in scena l’opera amletica: la città danese di Helsingør. È possibile che il drammaturgo inglese abbia scelto di utilizzare un termine vicino alla cultura danese per rendere la trama più famigliare (Samorini, 2018).
L’ennesima prova a favore del tasso si può trovare nel Macbeth (Atto IV, Scena I) quando le tre streghe sorelle aggiungono nel calderone di Ecate un rametto di tasso reciso all’eclissi per preparare a diabolica mistura:
“Scaglia di drago, dente di lupetto, mummia di strega, […] rametti di tassi tagliati mentre la luna è in eclissi; […] fate venire un bordo denso e viscido; e d’una tigre s’aggiunga il crudone agli ingredienti già nel calderone”.
In terra d’Abruzzo è Gabriele D’Annunzio (1863 – 1938) che riscopre il mortifero tasso e nella tragedia pastorale “La figlia di Iorio” fa chiedere a Mila di Codra i frutti del tasso per darsi la morte:
“Per giunta la pelle di pecora dove oggi hai dormito ti do
e tu di quelle coccole dammi rosse che sai… bacche di nasso…
Poi va, satòllati e cionca”.
Sul suolo abruzzese T. baccata è una specie arborea di notevole importanza tanto da risultare protetta dalla Legge Regionale 11/09/1975 n°45 e la Direttiva Habitat della Comunità Europea tutela i boschi di tasso ed agrifoglio (Ilex aquifolium L.) in virtù della loro rarità e valenza ecologica. Il suo ruolo di spicco nel territorio abruzzese non si limita solo all’ambito ecologico ma si estende fino all’ambito sociale ed antropologico poiché poche specie vegetali non coltivate hanno avuto un così grande impatto nella vita del popolo abruzzese di ieri e di oggi.
Molte testimonianze storiche ed usanze locali sono giunte a noi grazie al fine lavoro d’indagine del Dott. Aurelio Manzi il quale nei suoi numerosi scritti di etnobotanica ha descritto riti e tradizioni collegate al tasso. Tra queste riportiamo di seguito l’usanza di pastori e mulattieri abruzzesi di bonificare dai semenzai di tasso le zone di pascolo e di esbosco del legname con muli poiché gli animali non ruminanti (equini in particolare) sono attratti dal morbido fogliame del tasso con effetti spesso mortali. Da qui deriverebbe uno dei tanti nomi locali “ammazzasomari”. In caso di avvelenamento di equini con le foglie dell’albero i pastori di Pizzoferrato (CH) e di San Pietro di Isola del Gran Sasso (TE) facevano ingerire del pane agli animali in modo da assorbire i principi attivi mortali. Nella zona di Crognaleto (TE) invece si era soliti dare da bere agli animali olio di oliva per stimolare le deiezioni. Entrambi gli esempi trasmettono la considerazione e il rispetto che le società rurali avevano verso gli animali da soma. Un’altra usanza riferita al territorio di Valle Castellana (TE) prevedeva che si tagliassero le orecchie agli animali avvelenati per favorire la fuoriuscita del veleno. Tra tutti gli equini pare che i cavalli siano i più a rischio e sensibili al tasso poiché circa 100-200 grammi di foglie fresche risultano mortali (Pirone, 1992). Stando alle fonti bibliografiche sembra che Teofrasto sia stato il primo storico a riferire dell’alta mortalità tra gli equini (Cattabiani, 1998).
Come nel resto d’Europa anche in Abruzzo si sfruttava il legno del tasso per le sue ottime proprietà tecniche di elasticità, durabilità e durezza. A Carpineto della Nora (PE) e a Pietralta (TE) i rami flessibili di tasso erano utilizzati per costruire gli anelli di legno sui basti degli animali da soma, mentre a Farindola (PE) vi si realizzavano le parti ricurve del giogo dei buoi. A Tossicia (TE) il tasso veniva impiegato per fabbricare le parti facilmente usurabili dell’arcolaio o filarello uno strumento in legno, fornito di una ruota azionata da un pedale che permette la rotazione del rocchetto su cui si avvolge il filo (Manzi, 2003b).
Anche l’edilizia locale ha fatto ricorso al tasso soprattutto nella costruzione di travature e pali da esterno, lo scarso ritiro ed imbarcamento ne hanno reso un ottimo legno per porte e finestre ed addirittura per le traversine delle rotaie che hanno costituito i binari delle gallerie nei Monti nella Laga e nel Gran Sasso. Il massiccio utilizzo e la richiesta di legname pregiato, uniti alla lenta crescita di questa specie, hanno comportato la distruzione degli esemplari più grandi e monumentali riducendo drasticamente la popolazione regionale (Manzi, 2003b).
La fama di albero della morte circolò anche tra le nostre colline e montagne cosicché fino a pochi decenni or sono nel piccolo Comune di Sant’Eufemia a Majella (PE) durante le commemorazioni dei morti si era soliti portare in processione al cimitero una corona di tasso (Manzi, 2003b).
La medicina popolare raramente ricorreva al tasso poiché i principi attivi agiscono già a dosaggi molto bassi e soprattutto sono variabili in base all’organo utilizzato e alla stagione, entrambi fattori che complicano ulteriormente il dosaggio in ambito medico. Solo in casi estremi vi si ricorreva per indurre l’aborto ma con risultato spesso funesti (Pirone, 2015). Altri autori riportano l’uso dei principi attivi estratti da foglie e corteccia come diaforetico, bechico, espettorante e miorilassante (Cattabiani, 1998).
Per concludere questo lunghissimo percorso alla scoperta del tasso e del millenario legame con la nostra regione, legame che ancora oggi sopravvive in ricordi ed usanze dei più anziani, vi invitiamo a viaggiare per l’Abruzzo chiedendo di raccontarvi del tasso. Tuttavia avrete bisogno del “lessico tecnico” adeguato e allora vi lasciamo con tutti i nomi dialettali abruzzesi conosciuti per indicare l’albero della morte e della vita: Tasse, Tasce, Tassu, Nasso, Nassu, Tass, Tesse, Ammazzasomari, Ammazzacavall.
Buona ricerca!
Bibliografia e sitografia:
- Baumann B., 1960. “The Botanical Aspects of Ancient Egyptian Embalming and Burial.” Economic Botany 14, no. 1: 84-104. www.jstor.org/stable/4252139.
- Cattabiani A., 1998. Florario: Miti, leggende e simboli di fiori e piante. Arnoldo Mondadori Editore, Milano.
- Di Massimo S., 2002. Piante e Veleni. Provincia di Pesaro (PU)
- Dixon D.M., 1974. “Timber in Ancient Egipt.” The Commonwealth Forestry Review 53, no. 3 (157): 205-09. www.jstor.org/stable/42605377.
- Liberman A., Lawrence M.J., 2008. An analytic dictionary of English etymology, University of Minnesota Press.
- Manzi A., 2003a. Piante sacre e magiche in Abruzzo. Lanciano (CH).
- Manzi A., 2003b. Il tasso nella cultura popolare abruzzese. In Schirone B., Bellarosa R., Piovesan G., 2003. Il Tasso, un albero da conoscere e conservare. Cogecstre edizioni, Penne (PE).
- Pirone G., 2015. Alberi arbusti e liane d’Abruzzo. Penne (PE).
- Pirone G., Leone A., Jannascoli S., 1992. Piante velenose d’Abruzzo. Cogecstre. Penne (PE).
- Plutarco. Quaestiones Conviviales (III, 1, 3)
- Samorini G., 2018. L’hebona di Shakespeare e il veleno nell’orecchio, Erboristeria Domani, N. 406, pp. 68-78
- Shakespeare W., 1602. The Tragedy of Hamlet, Prince of Denmark. Act I, Scene V
- Shakespeare W., 1623. The Tragedy of Macbeth. Act IV, Scene I
- Stuart A., 2009. Wicked Plants, the weed that killed Lincoln’s mother & other botanical atrocities. Algonquin Books of Chapel Hill. ISBN-13: 978-1-56512-683-1. 1st ed., pp. 224-23.