“Gaudet frigidis Sorbus, sed etiam magis Betulla,
Gallica haec arbor mirabili candore atque tenuitate,
terribilis magistratuum virgis, eadem
circulis flexilis, item corbium costis.”
(Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, liber XVI).
“Il sorbo ma ancor più la Betulla, prospera nelle regioni fredde.
La Betulla è un albero della Gallia, sorprendente per il colore candido del legno e l’elasticità del tronco;
è una pianta destinata ad incutere rispetto, perché dai suoi rami si ricavano le verghe dei magistrati;
la sua flessibilità la rende adatta per fare cerchi e coste dei cestini.”
Con questi eleganti versi Plinio il Vecchio (23 – 79) descrive ecologia, origine, tradizioni e uso della Betulla condensando in poche ed efficaci parole il suo posto nella Natura e il suo ruolo nella vita degli Uomini.
L’articolo di oggi vi racconta della Betula pendula Roth. della sua eleganza, della sua luce nelle chiarie del bosco, del pallore della sua epidermide lignea come il volto bianco Siberia di una ragazza del Nord. Del suo rigenerare una foresta incenerita quasi a voler portare il freddo per dissipare il calore del suolo bruciato. Della sua leggenda di albero catartico, della linfa purificatrice del corpo e verga dello spirito. In Abruzzo è rara, un relitto glaciale sopravvissuto in piccole nicchie. Perché l’abbiamo scelta? Perché è una minoranza e come ogni minoranza va conosciuta, preservata e protetta.
La Betulla pendula è un albero di media grandezza appartenente alla famiglia delle Betulaceae ed è conosciuta anche come Betulla verrucosa in ragione della corteccia scabrosa negli esemplari maturi.
La famiglia delle Betulaceae comprende circa 70 specie di alberi e arbusti caducifogli distribuiti nelle zone temperate e fredde dell’emisfero boreale (San-Miguel-Ayanz et al., 2016). Generalmente monoiche, solo raramente dioiche, le Betulaceae sono caratterizzate da foglie semplici a lamina seghettata con fillotassi alterna. Il tratto distintivo della famiglia, traversale a tutti i generi, è la fioritura antecedente la fogliazione con i fiori maschili riuniti in amenti e i fiori femminili anch’essi in amenti o in piccoli coni eretti gemmiformi a seconda della specie (Pirone 2015). Il frutto può essere un nucula, come nel caso di nocciolo e Betulla, o un achenio appiattito ed alato per i carpini. In Italia le Betulaceae sono rappresentate da 5 generi di notevole importanza forestale e alimentare: Ostrya, Carpinus, Alnus, Corylus e infine Betula.
Il genere Betula annovera oltre 40 specie, a cui vanno aggiunti diversi ibridi spontanei, che occupano quasi tutta la regione temperata dell’emisfero Nord (Pirone, 2015) fino a diventare la latifoglia dominante nel bioma taiga. In Italia vegetano allo stato spontaneo solo quattro specie di cui due esclusive dell’arco alpino (Betula nana L. subsp. nana e Betula pubescens Ehrh.), una endemica siciliana (Betula etnensis Raf.) e l’ultima Betula pendula Roth., protagonista del nostro articolo, presente in tutto il territorio nazionale ad esclusione di Sicilia, Sardegna, Umbria, Puglia e Calabria (Pignatti, 2017; San-Miguel-Ayanz et al., 2016).
Il nome generico “Betula” fu usato per la prima volta da Plinio il Vecchio nel libro XVI della Naturalis Historia ed è una trasposizione del gallico “betw” o “betu” in quanto per i latini la Betulla era l’albero dei Galli. Tutti i vocaboli utilizzati dai popoli nordeuropei per identificare la Betulla orbitano attorno alla parola indoeuropea “bhirg” da cui deriverebbero il “beith” gaelico, il “beth” cornico, il “betho” cimbro, il “bedu” bretone e il “bedwen” dei Cimri gallesi. È interessante notare come anche la voce latina “bitumen” derivi dagli stessi idiomi nordeuropei poiché utilizzata a Roma per identificare il catrame di Betulla, un rudimentale ma efficace collante di origine gallica. La radice dell’etimo gallico affiora oggigiorno dalle lingue moderne di ceppo germanico cosicché Betulla in tedesco si dice “birke” mentre in inglese “birch”. È curioso anche constatare come “birch” nominale significhi “Betulla” mentre la forma verbale “to birch” significhi “frustare” con chiaro riferimento all’utilizzo dei flessibili rami di Betulla come verga (Brosse, 1987). Se del nome generico non conosciamo il significato siamo fortunati invece per l’epiteto specifico “pendula” il quale proviene dal verbo latino “pendeo” e richiama il portamento ricadente dei ramuli (Zepigi, 2010).
Da un punto di vista morfologico la Betulla pendula è una latifoglia caduca con doppio habitus: arboreo capace di raggiungere i 30 m di altezza nelle migliori condizioni pedoclimatiche o arbustivo, fino a 5-6 m di altezza, per adattarsi agli ambienti estremi. Per questa ragione la forma biologica oscilla tra P scap e P caesp. Quando il portamento è arboreo la Betulla pendula si presenta con un fusto dritto monopodiale a portamento slanciato ed elegante e corteccia bianca sfogliantesi in liste trasversali. I rami sono giovani esili, rugosi, glabri con ghiandole resinose peltate. Le foglie sono triangolari-rombiche (2-4 x 3-6 cm) con base acuta, decorrente sul picciolo e la lamina fogliare ad apice acuminato è grossolanamente dentata con denti a loro volta seghettati. Caratteristiche diagnostiche sono la pagina inferiore glutinosa a causa delle numerose ghiandole resinifere e glabra con ciuffi di peli persistenti solo sulle nervature. L’antesi avviene tra marzo e maggio con fiori portati in amenti: i maschili sono lunghi 3-6 cm e i femminili 1-2 cm che si estendono fino a 3-4 cm dopo la fruttificazione. Il frutto matura a fine estate e si presenta sotto forma di nucula compressa, glabra, munita di 2 alette che ne facilitano la dispersione anemocora (Pignatti, 2017; Young and Young, 1992). Anche un leggero alito di vento è capace di disperdere i semi e portarli lontanissimo dalla pianta madre poiché è stato verificato che 1000 semi pesano circa 0,6 grammi e il tasso di germinazione è molto elevato, stando alle prove di germinabilità effettuate dai Royal Botanic Gardens of Kew.
La Betula pendula è una specie poco longeva a crescita rapida, spiccatamente eliofila ed igrofila. Spesso vegeta sporadica o in ridotti gruppi nei boschi radi montani ma nelle condizioni ideali (rare in Appennino) è in grado di formare popolamenti puri denominati betuleti. In Abruzzo la supremazia del Faggio ne limita lo sviluppo relegandola a costituire, nell’ambito di consorzi forestali dell’orizzonte montano, nuclei ridotti ai margini del bosco e nelle radure luminose (Pirone 2015). Tuttavia dei meravigliosi nuclei di Betulla possono essere ammirati nel versante teramano dei Monti della Laga presso Cortino e Valle Castellana (TE); sul Gran Sasso presso i boschi di Arsita (TE), Isola del Gran Sasso nel Bosco di San Nicola e in Val Venacquaro; nel chietino presso il Vallone di Fara San Martino e nel Vallone di Macchia Lunga; nell’aquilano nel Parco Nazionale d’Abruzzo in Valle Iannanghera presso Coppo Oscuro di Barrea, sul Monte Giano, nelle vicinanze del lago di Campotosto e Prato Rocchiano ed infine nel complesso montano del Sirente-Velino (Conti 1998; Ettorre 2002; Plini and Tondi 2014). Attualmente la Betula pendula risulta specie protetta dalla Legge Regionale 11.9.1979 n. 45.
Giunti a questo punto il lettore attento avrà colto gli indizi disseminati tra i paragrafi per costruire nella sua testa l’habitat e il carattere della nostra Betulla. Una somma di fattori per compiere una sorta di “calcolo ecologico” e capire il carattere dell’albero. Vi diamo un ultimo momento per pensarci su: specie poco longeva, crescita veloce, seme leggero ed abbondante, alto tasso di germinabilità, spiccata eliofilia, discreta capacità pollonifera…
I caratteri sopra elencati sono i tratti ecologici tipici delle specie pioniere e la nostra Betulla ha pieno diritto di appartenervi. Specie frugale su terreni denudati, consolidatrice di pendii acclivi sabbiosi, pietrosi e ghiaiosi è capace di ricostituire brevemente la copertura forestale dopo frane ed incendi (San-Miguel-Ayanz et al., 2016). Sugli Appennini vegeta dai 600 ai 2000 m di altitudine e quando arriva al limite della vegetazione arborea è possibile vederla corteggiare il contorto Pino mugo e i prostrati arbusti di Uva orsina e Mirtillo nero come accade nel Vallone di Macchia Lunga sulla Majella (Pirone, 2015).
Il marcato pionierismo rende la Betulla pendula una specie molto plastica in grado di colonizzare habitat difficili e diversi tra loro associandosi a svariate specie arboree tra le quali spiccano il Faggio, il Castagno, le querce caducifoglie come Cerro, Rovere e Roverella ed anche Pioppo tremulo in caso di soprassuoli incendiati. Il ruolo ecologico della Betulla è estremamente importante nella successione secondaria per il recupero post disturbo ed in generale per mantenere l’equilibrio dell’ecosistema boschivo in quanto, colonizzando rapidamente aree prive di vegetazione, protegge il suolo dall’erosione superficiale e ne migliora la fertilità creando i presupposti edafici e microclimatici per l’attecchimento di specie arboree più esigenti (Plini and Tondi 2014). La chioma leggera della Betulla permette alla luce di penetrare nel sottobosco assicurando ai semi delle specie definitive nella serie climacica la giusta quantità di luce per germinare e prosperare. Una volta raggiunto il giusto grado di copertura i semi di Betulla, esigenti in luminosità, non saranno più in grado di germinare e non vi sarà rinnovazione. Nell’arco di un secolo la Betulla sarà sostituita dalla massima vegetazione naturale potenziale dell’area e le specie definitive ristabiliranno l’equilibrio prima del disturbo.
Osservando il ruolo curativo della Betulla in bosco non stupisce che il silvicoltore Prof. Roberto del Favero la definisca una “specie medicina” capace di far ripartire il sistema boschivo dopo un forte disturbo (Del Favero, 2010). Ma il potere curativo della Betulla oltrepassa la foresta e arriva a toccare la sfera umana della medicina popolare. In passato dalla corteccia bollita si ricavava una bevanda capace di curare febbri e malattie della pelle e l’abbondante linfa dolciastra, detta “sangue di Betulla”, veniva bevuta per purificare l’intestino e per curare malattie delle vie biliari ed urinarie combattendo le infezioni.
I romani, che avevano conosciuto gli usi della Betulla attraverso i barbari del Nord, trasposero l’azione purificante dei suoi poteri officinali all’ambito spirituale tanto da raffigurarne i rami nel simbolo del fascio littorio. I due elementi del fascio rappresentavano le punizioni che i consoli potevano infliggere ai pretori: l’ascia per la decapitazione e le verghe di Betulla per la flagellazione intesa come purificazione del colpevole dalle sue nefandezze (Brosse, 1987).
Oltre al significato spirituale la scelta del legno di Betulla per le verghe è dettata dalla principale caratteristica tecnica del legno: l’estrema flessibilità. Il legno di Betulla è elastico, tenero e leggero (essiccato pesa sui 500 kg/m3) a porosità diffusa e tessitura omogenea di colore bianco-giallognolo e senza alburno distinto. Tuttavia è un legno poco durevole, facilmente degradabile da funghi ed insetti e non adatto per edilizia o uso esterno per cui la sua utilizzazione si limita, con ottimi risultati, a piccoli utensili, zoccoli, lavori di tornio, compensati e cellulosa. Attualmente la principale destinazione d’uso della Betulla pendula è la produzione di sfogliati di alto valore e qualità (San-Miguel-Ayanz et al., 2016). Lo scrittore Lars Mytting (2016) ci regala una piacevole lettura sulla Betulla ed il significato che essa ha per il popolo norvegese (basti pensare alla Betulla Reale di Re Haakon VII e del Principe Olav nel 1940). Egli racconta di come i norvegesi ricorrono ad una rapida essiccazione del tronco abbattuto per preservare le qualità tecnologiche del legno che altrimenti, se lasciato riposare a contatto con il suolo, marcirebbe in poco tempo. I norvegesi sono detentori di una lunga tradizione forestale ed hanno innalzato la Betulla a simbolo nazionale, imparando a ricavarne il massimo anche in virtù della sua disponibilità nel territorio (le betulle costituiscono il 74% dei boschi decidui norvegesi).
Ottima come legna da ardere per il suo elevato potere calorifico, a tal punto da fare ombra ad altre usuali specie arboree, presenta una corteccia facilmente infiammabile sovente utilizzata come esca (Mytting, 2016). Anche la cenere era preziosa e si raccoglieva per produrre il colore nero fumo da utilizzare come inchiostro (Brosse, 1987). Oltre che come foraggio di emergenza le foglie trovarono impiego nell’industria tessile poiché contengono un principio tintorio giallo e la corteccia era richiesta in campo conciario per il suo olio noto come catrame di Betulla. Il celebre cuoio di Russia, originario del Kazan e dell’Astrakan, era conciato con una miscela segreta di tannini, fra i quali però si riconosce la corteccia di Betulla che dava al prodotto un odore unico e rendeva la pelle flessibile, resistente all’acqua e durevole nel tempo (Osipov et al., 2017).
Tra i molteplici usi della Betulla non poteva mancare quello officinale ed in passato si ricorreva alle sue proprietà medicinali sfruttando i principi attivi diuretici, coleretici, antisettici, astringenti, cicatrizzanti, sudoriferi e lenitivi (Boni and Patri, 1976). La più famosa testimonianza storica sugli usi medicinali della Betulla si devono a Santa Ildegarda di Bingen (1098 – 1179) un’illuminata suora benedettina che con spirito pioneristico e mentalità scientifica ne descrisse i rimedi officinali nel trattato naturalistico Physica o Liber simplicis medicinae (Plini and Tondi, 2014; Pirone, 2015).
A sentir parlare di medicina popolare e rimedi officinali parrebbe di balzare indietro nel tempo di secoli ma non è così. Con riferimento alla sola Italia (ma il discorso si potrebbe estendere anche al resto d’Europa) la medicina empirica, basata sull’esperienza di curatori ed erboristi, era largamente diffusa nelle zone rurali fino alla prima metà del 900’ e molto spesso rappresentava l’unica difesa contro le malattie. Il progresso scientifico ha rapidamente sgretolato la medicina popolare e molte pratiche sono cadute in disuso poiché obsolete e non di rado pericolose. Tuttavia alcune conoscenze passate si sono salvate e rappresentano la base culturale delle scienze farmaceutiche ed erboristiche. Non più empirismo dunque ma scienza con solide basi biochimiche e mediche in grado di dosare i principi attivi e predirne gli effetti sul corpo.
Curatori, farmacisti ed erboristi adoperavano le parti aeree della pianta ed ognuna di esse doveva essere raccolta in un momento preciso dell’anno per poter prevedere con discreta certezza l’effetto sul corpo di tannini, olii essenziali resine ed altri principi attivi. Naturalmente non è possibile tracciare una linea continua che unisca ogni luogo ed ogni popolo che ricorreva alle virtù medicinali di una specie vegetale, ancor meno per una specie da un areale vasto come la Betula pendula per cui le informazioni sui periodi di raccolta delle droghe sono riferibili all’area geografica italiana. Le gemme si raccoglievano in febbraio, ben serrate nelle perule, la corteccia si prelevava a marzo-aprile ricavandola da rami giovani di circa 1 cm di diametro e le foglie si raccoglievano ad inizio primavera recidendole senza il picciolo (Boni and Patri 1976). Una volta raccolte si procedeva con l’essiccazione, al sole diretto per la corteccia e all’ombra per foglie e gemme (Boni and Patri 1976). Queste ultime poi erano sovente impiegate per uso interno servivano per preparare infusi e tinture alcooliche da bere per stimolare la diuresi, ridurre gli edemi e fluidificare la secrezione biliare. La corteccia invece poteva essere infusa in acqua bollente per preparare decotti febbrifughi o distillata per ricavarne un olio (olio di Betulla) da usare per contrastare le affezioni croniche della pelle (Viola, 1975; San-Miguel-Ayanz et al., 2016).
Secondo le testimonianze di Tammaro in Abruzzo si ricorreva alle foglie di Betulla per preparare un infuso, a cui veniva aggiunto del bicarbonato, per curare le infiammazioni della vescica e a Cagnano Amiterno (AQ) si usava il decotto di polvere di carbone di Betulla come anticatarrale ed il decotto di corteccia dei rami giovani per conciare le pelli (Pirone, 2015).
Siamo giunti alla fine di questo articolo ma non possiamo salutarci senza prima aver scritto i nomi dialettali con cui chiamare la betulla nelle varie province del nostro amato Abruzzo! Si conosce come Betola, Betula, Bidello e Vedulla ma qualche nomignolo locale può esserci sfuggito, aiutateci a trovarli tutti! Scrivete nei commenti il nome con cui la conoscete o la chiamano gli anziani del vostro paese!
Bibliografia
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Viola, Severino. 1975. Piante Medicinali e Velenose Della Flora Italiana. Istituto G. Novara.
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Zepigi, Marinella. 2010. “Betula Pendula Roth {ID 1194} – Betulla.” 2010. https://www.floraitaliae.actaplantarum.org/viewtopic.php?t=16585.
Seed Information Database of Royal Botanic Gardens of Kew – Betula pendula Roth. https://data.kew.org/sid/SidServlet?ID=3325&Num=75R