Il nome Caprifoglio evoca leccete mediterranee, i boschi xerofili, i profumi delle erbe aromatiche della macchia mediterranea, gli arbusteti impenetrabili ai margini dei querceti di roverella. Grandi fiori allungati che nello slancio della fioritura estiva si protraggono imperiosi come a voler imporre il loro profumo. Questa volta però parliamo sì di un caprifoglio, ma diverso: un caprifoglio montano, a fiori piccoli privi della classica brattea a coppa alla base dei peduncoli. I montanari lo chiamano “la cerace vastarde” perché i frutti simili ad una ciliegia mettono l’acquolina in bocca ma guai a mangiarli!
Caprifoglio alpino, Madreselva alpina, Ciliegia bastarda
Caprifoliaceae
P caesp
Orof. S-Europ.
Il caprifoglio alpino è un arbusto caducifoglio a portamento eretto di altezza compresa tra 1 e 3 metri con i rametti dell’anno di colore rossastro. Le foglie sono semplici, opposte e picciolate con margine ondulato e lamina di forma ellittica. Hanno una grandezza di circa 5 cm x 10-12 cm con pagina superiore lucida verde scuro mentre la inferiore più è verde chiaro. I fiori bisessuali zigomorfi sono alla base di un peduncolo di circa 3-5 cm e portati all’ascella fogliare. Di forma simile agli altri caprifogli, presentano una corolla imbutiforme labiata verde o rossiccia ma le dimensioni sono molto ridotte (10-18 mm).
La fioritura (o antesi) avviene tra giugno e luglio mentre i frutti, due bacche concresciute rosso lucido, maturano a settembre.
In Abruzzo è possibile incontrare la Madreselva alpina su tutti i rilievi montuosi della regione in corrispondenza di chiarie di faggete e boschi mesofili di latifoglie miste oppure nelle zone di mantello forestale. Il suo portamento arbustivo e le ridotte dimensioni gli consentono di superare la treeline del faggio (1800 m s.l.m. circa in appennino) spingendosi fino ai 2100 metri di altitudine. Si trova spesso in associazione con Ramno fallace e Ginepro comune e in particolare vi segnaliamo alcuni splendidi esemplari a Prati di Tivo (TE) che sono in fiore in questo periodo.
Come dicevamo nell’introduzione il nome di “cerace vastarde” deve metterci in guardia: le bacche sono tanto invitanti quanto tossiche e se ingerite possono provocare vomito, crampi, convulsioni e disturbi renali.
Se avete visto anche voi la Madreselva alpina e conoscete altri luoghi dove vederla, scrivetelo nei commenti e condividete con noi i nostri scatti!
Ciao e alla prossima settimana!